Manuale di Cartografia Topografica (Parte III)

Il Bacino Idrografico a cui ci riferiamo noi è un’area che raccoglie e convoglia le acque di superficie in un punto ideale.
Quest’area è delimitata da una linea detta Linea Spartiacque (o più semplicemente Spartiacque)
Solitamente, il punto da cui ‘parte’ il bacino viene collocato su un fiume, o comunque in una valle per il sempice motivo che le valli (e i fiumi che scorrono sempre in una valle) raccolgono acqua che arriva da qualche parte.
Una cima, uno sperone roccioso o un dosso erboso, al contrario non hanno bacino idrografico perchè non raccolgono acqua. Semmai questi faranno parte di uno o più bacini idrografici in quanto l’acqua scivolerà su di essi in svariate direzioni andando a convogliare altrove.

Interpretare le carte topografiche con naturalezza.
Bacino idrografico…

Stefano Rossignoli estate-autunno 2010

– Parte I
– Proiezioni, misure e scala
– Le Isoipse o curve di Livello

– Parte II
– Il Profilo Topografico
– Le coordinate chilometriche e geografiche

– Parte IV – Domande e chiarimenti

Calcolare l’area di un Bacino Idrografico con la carta millimetrata

Puoi consultare il manuale gratuitamente,

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Il Bacino Idrografico

Il Bacino Idrografico a cui ci riferiamo noi è un’area che raccoglie e convoglia le acque di superficie in un punto ideale.
Quest’area è delimitata da una linea detta Linea Spartiacque (o più semplicemente Spartiacque)
Solitamente, il punto da cui ‘parte’ il bacino viene collocato su un fiume, o comunque in una valle per il sempice motivo che le valli (e i fiumi che scorrono sempre in una valle) raccolgono acqua che arriva da qualche parte.
Una cima, uno sperone roccioso o un dosso erboso, al contrario non hanno bacino idrografico perchè non raccolgono acqua. Semmai questi faranno parte di uno o più bacini idrografici in quanto l’acqua scivolerà su di essi in svariate direzioni andando a convogliare altrove.

Stiamo parlando ovviamente in generale e consideriamo l’area rappresentata dalla mappa come se fosse una superficie impermeabile, senza grotte e rete idrica sotterranea.
Il bacino idrografico che impareremo a tracciare in questa circostanza quindi non considera le grotte ed in generale cosa c’è sottoterra.

Ad esempio, sulla nostra mappa, cerchiamo di tracciare una linea che delimiti il Bacino Idrografico del lago ‘Ivana’, quindi indicheremo il punto ideale in cui convogliano le acque di superficie come l’inizio dell’emissario, quando il torrente Bea esce dal lago…

Sempre parlando in generale, possiamo dire che il torrente ‘Bea’ entra nel lago Ivana, quindi il torrente e i suoi affluenti faranno parte automaticamente del bacino che ci interessa. Leggi tutto “Manuale di Cartografia Topografica (Parte III)”

La ‘Grotta dell’Orso’ sul Monte Generoso

Stefano Rossignoli 21 ottobre 2010

www.cavernagenerosa.it

Qualche giorno fa, sono stato interpellato dall’amica Paleontologa Barbara Laurenti dell’associazione l’Armadillo che mi chiedeva se fossi disponibile per tornare sul Monte Generoso a fare alcune visite guidate di fine stagione per le scolaresche.

Il Monte Generoso e la sua Grotta dell’Orso sono per me infatti vecchie conoscenze e camminare per quei prati, boschi e calcari traforati da più di 80 grotte scoperte fino ad ora, è quasi come camminare nel corridoio di casa.
E’ quindi visibilmente emozionato che mi sono presentato dopo un anno e mezzo di assenza da quelle parti.

Prima visita guidata prenotata per le 11:30.
Io però sono arrivato presto.
…Molto presto, perchè il Monte Generoso offre il meglio di sè nelle ore di scarsa frequentazione.
La sua cima (o comunque poco sotto) è raggiunta da una cremagliera che porta ogni giorno centinaia di persone a godere dello splendido panorama che offre questo balcone naturale sulle Alpi e sulla Pianura Padana.

Un lato ‘positivo’ della gente che arriva col trenino in cima è che normalmente non ama camminare quindi, a breve distanza dalla stazione di arrivo della cremagliera, ci si trova proiettati comunque in un ambiente selvaggio e naturalisticamente importante …non solo per la presenza di una sottospecie endemica (cioè tipica solo di quel luogo ..anche se in realtà è ancora più bella da guardare sul vicino Sasso Gordona) di Peonia officinalis, ma per una serie innumerevole di organismi animali e vegetali che vi abitano, per la sua geologia e la sua storia antichissima, per quella antica e per quella più recente fatta da contrabbandieri e pastori.

Da dove salgo oggi?
Mi presento a ‘Bellavista’ dove da giugno a settembre compresi si paga il parcheggio (neanche molto in realtà) ma in ottobre è gratuito lasciare l’auto.
Ho percorso la stretta stradina che da Mendrisio passa tutta a curve attraverso un vastissimo bosco di castagni che ora a 1200m circa sono sostituiti dalla faggeta.
In questi boschi spesso ho visto Cervi, Caprioli, Camosci, Tassi, Topolini, Qualche Cinghiale, Falchi di varie specie tra cui il più comune è il Gheppio, il Corvo Imperiale, il Picchio Nero, Beccacce, Rane, rospi, Biacchi, Vipere, Lucertole, Orbettini …ma non vado avanti sennò arrivo a sera!!!
Parlare delle piante è quasi inutile, non ne sono in grado… Lo potrebbe fare in modo esauriente l’amico Attilio Selva che incontravo più e più volte su per la montagna mentre ne studiava la flora per redarre i suoi libri… Ora, quando non insegna, lo potete incontrare spesso al Museo della Valsanagra a Grandola e Uniti dove si occupa anche della sala di Paleontologia…
Da Bellavista una sterrata chiusa da una sbarra parte verso la stazione intermedia del trenino a cremagliera. Dalla stazione, una volta attraversati i binari, parte il piccolo e mai troppo ripido sentiero che porta in cima al Monte superando la faggeta, poi vasti ‘boschi’ di felci e poi il pascolo.
In prossimità delle baite vicine alla cima, il sentiero a volte è sbarrato da alcuni cancelletti per non far disperdere il bestiame. Basta aprirli e poi richiuderseli alle spalle…
Da qui, si può raggiungere la cima del Generoso e godere di una vista a 360° tutt’intorno, oppure per la grotta si prosegue quasi in piano verso ENE (circa ad est!) su una comoda stradina.
Vi trovate ora sul confine Italo-Svizzero!
Percorsi circa due o trecento metri, si svolta a sinistra in discesa (indicazioni gialle nei periodi di apertura della Grotta e comunque la discesa inizia su una evidente rampetta in cemento) e si entra in Italia camminando per altri 20 min circa fino ad arrivare all’apertura della grotta a 1450m di quota vicini ad un ciclopico faggio…

Perchè tante grotte sul Monte Generoso?
Come gran parte delle Prealpi, anche questa montagna è composta principalmente di Calcare. Il calcare (CaCO3) è un sale e si scioglie in presenza di acqua. Se l’acqua è lievemente acida (come quella piovana) si scioglie ancora meglio.
Non a caso uno dei metodi utilizzato dai geologi per riconoscere il calcare da altri tipi di roccia è versare una goccia di acido cloridrico, HCl (95%vol di acqua e 5%vol di HCl) e vedere se reagisce oppure no.
Se frizza è calcare!!!
Basta quindi una piccola fessura nella roccia ed una notevole dose di tempo (da decine a centinaia di migliaia di anni o milioni) perchè questa fessura si allarghi fino a diventare una grotta.
Ovviamente di spaccature e fessure ce ne sono tante e man mano che si allargano formano dei veri e propri reticoli di grotte all’interno della montagna. Queste grotte sono solitamente collegate tra loro e trasportano acqua (e aria) formando una rete idrica interna.
Molti cunicoli orizzontali si aprono in grandi camere e i vari livelli di grotte sono collegati tra loro da altre aperture verticali chiamati camini
L’interno della montagna rimane quindi impregnato di acqua quasi in ogni sua parte e le grotte dei livelli inferiori sono quasi sempre piene di acqua e spesso (come nel caso del Monte Generoso) dei veri acquedotti naturali. Quelle dei livelli superiori si riempiono man mano che le precipitazioni si fanno importanti e poi riversano il contenuto in quelle inferiori.
Questo fenomeno di formazione delle grotte e altre morfologie nel calcare è conosciuto come Carsismo (dal noto gruppo montuoso friulano del ‘Carso’, guarda caso calcareo!) ed interessa moltissime zone del nostro pianeta in cui masse di calcari affiorano trovandosi in balia delle precipitazioni meteoriche…

Ma chi era e cosa ci faceva in grotta l’Orso delle Caverne?
L’Orso delle Caverne (nome scientifico: Ursus spelaeus) era un grosso animale dall’aspetto robusto. Coi suoi 50cm di cranio e circa 3m di lunghezza dalla punta del muso alla coda, raggiungeva anche più di 800Kg di peso. Erano i maschi gli individui più grandi.
Per quanto risulti strano nell’immaginario collettivo, l’orso delle Caverne non era specializzato per una dieta carnivora, ma per una dieta essenzialmente vegetariana.
Un carnivoro ha tutti i denti aguzzi e taglienti, …non solo i canini!
Provate a tirar su la guanciotta a un cane o a un gatto e guardate i denti posteriori!!!
Ursus spelaeus invece, si porta un ‘corredo’ di premolari e molari molto larghi e piatti, ideali per triturare i vegetali.
Solo i quattro grossi canini restano a dimostrare le origini e la parentela con i suoi antenati e parenti strettamente carnivori, oppure onnivori…
Le abitudini di vita di questo grosso Orso dovevano comprendere ore e ore passate a mangiare ogni giorno.
I vegetali infatti nutrono meno della carne e se ne deve quindi mangiare una maggior quantità.
D’estate quindi questo animale accumulava grasso fino a che giungeva il periodo del letargo in cui Ursus spelaeus andava a cercarsi una grotta dove passare l’inverno.
Ma se d’estate l’orso aveva mangiato poco? Se non aveva accumulato grasso a sufficienza per il lungo inverno da passare in grotta? Supponiamo anche che avesse avuto un problema alla dentatura. Denti vecchi, consumati, o rotti…
Un problema del genere si risolveva normalmente con la morte dell’individuo.
E se l’individuo era una femmina adulta?
Questa normalmente partoriva in grotta, si pensa alla fine del letargo e se era troppo magra non aveva latte, così il piccolo moriva quasi subito di fame o addirittura nel grembo insieme alla madre…
Queste tristi storie sono documentate da decine di migliaia di ossi (si chiamano ossi quelli degli animali!) di orsi tra cui moltissimi di femmine adulte e una miriade di ossi e denti di cuccioli appena o mai nati.
Ricordo quando per una tesi setacciai con Paolo Vismara (oggi dottorando in Paleontologia dei Vertebrati) centinaia di chili di sedimento proveniente dagli scavi universitari in grotta e poi lo guardammo tutto al microscopio binoculare in cerca di denti fossili di micromammiferi (principalmente topolini) per ottenere una ricostruzione paleoambientale… Ricordo le decine, o forse centinaia, di denti da latte di piccoli orsi che trovammo….

Anche i grossi maschi morivano, ma in minor quantità…
Le datazioni dei reperti della Caverna generosa vanno dagli oltre 50000 anni fa all’attuale… Siamo nel Pleistocene e Olocene (vedi scala dei tempi geologici)
L’orso delle caverne si è estinto circa 20000 anni fa e in questa grotta si può seguire il periodo del declino di questa specie in cui le condizioni di salute di Ursus spelaeus continuavanono a peggiorare fino alla scomparsa definitiva…
Sarebbe certamente bello scoprire la causa di questo declino, ma per ora non ci è concesso…
In un primo tempo si pensava all’ultima glaciazione che ebbe il suo picco più freddo circa 20000anni fa, ma ora si pensa che non sia stata la causa primaria dell’estinzione, in quanto Ursus spelaeus comparve circa 300000 anni fa e passò quindi due glaciazioni senza problemi mentre l’ultima gli fu fatale…certo che fu anche minimamente più fredda…

In ultimo, la Caverna Generosa è anche uno dei luoghi che mostrano tra le più antiche frequentazioni italiane da parte dell’uomo di Neandhertal.
Sono stati trovati alcuni utensili come dei raschiatoi, manufatti e lame in pietra scheggiata, più precisamente selce rossa che non arriva dalla grotta, in quanto anche nelle zone limitrofe c’è solamente selce nera o grigiastra.
L’uomo di Neandhertal quindi doveva frequentare la caverna in estate per la caccia arrivando da chissà dove con la selce lavorata o da lavorare e poi d’inverno se ne tornava da qualche parte più in basso al riparo dal gelo della montagna…

Montagna di mille colori il Monte Generoso in autunno.
Una bella gita da unire, perchè no, alla visita della grotta.
I paleontologi dell’Associazione l’Armadillo saranno sempre felici di accompagnarvi a scoprire le meraviglie di un passato che ci sembra così lontano ma in realtà è così dietro l’angolo …o meglio, dentro un cunicolo!!!!


Che bei ricordi!!!

Per informazioni: www.cavernagenerosa.it

Dai Dinosauri agli Uccelli (Parte I)

Ed ecco una perla del nostro ospite Daniele Tona che ci spiega un passaggio chiave dell’evoluzione dei Vertebrati. Come si è passati dai Dinosauri agli Uccelli?
La cornice è data dalle splendide immagini della nostra nuova ospite Alessandra Morgillo.

Daniele Tona 16 settembre 2010

Ed ecco una perla del nostro ospite Daniele Tona che ci spiega un passaggio chiave dell’evoluzione dei Vertebrati.
La cornice è data dalle splendide immagini della nostra nuova ospite Alessandra Morgillo.


Nibbio reale (Milvus milvus) – Foto di Alessandra Morgillo

Quindi ora basta dire che i Dinosauri volanti non esistono!!! …ma leggiamo un po’…

Se vuoi, leggi prima “Chi sono i Dinosauri” …di Daniele Tona

Gli uccelli sono fra gli animali con i quali abbiamo maggior familiarità e che sono più facilmente riconoscibili: in fondo, gli uccelli sono gli unici animali ad avere un folto piumaggio, a deporre le uova e (nella maggior parte di loro) a saper volare.
Prima di capire da dove provengano gli uccelli, può essere utile ricapitolare le loro caratteristiche anatomiche salienti.

Lo scheletro degli uccelli si è radicalmente modificato per consentire loro di spiccare il volo: le ossa sono leggere e cave all’interno (presentano una struttura detta trabecolare), e queste cavità contengono prolungamenti dell’apparato respiratorio, le cosiddette sacche aeree, che non solo alleggeriscono il corpo, ma permettono di immagazzinare una maggiore quantità di aria, e quindi di ossigeno; lo sterno si è ingrandito a dismisura per permettere l’inserzione dei potenti muscoli che servono a battere le ali; nell’arto anteriore gli ossicini del polso si sono fusi con quelli della mano formando il cosiddetto carpometacarpo, e le dita si sono ridotte; il cinto pelvico si è irrobustito, andando a comprendere anche alcune vertebre dorsali nel sinsacro; le stesse vertebre si sono ridotte di numero, soprattutto nella coda, dove quelle più distali si sono fuse nel pigostilo; le ossa della caviglia e del piede si sono fuse in un tarsometatarso, con il primo dito (l’equivalente del nostro alluce) ribaltato. Infine, l’intero corpo degli uccelli è ricoperto da piume con funzione isolante, e da penne che servono sia come copertura sia per il volo.

L’anatomia degli uccelli è così peculiare che per molto tempo ai naturalisti è bastato trovare un osso o una penna per stabilire inequivocabilmente che il loro proprietario originale fosse un uccello.


Luì piccolo (Philloscopus collybita) – Foto di Alessandra Morgillo

Poi, un giorno del 1861, in una località della Baviera chiamata Solnhofen emerse dalle lastre calcaree estratte nelle cave locali lo scheletro di una creatura vissuta alla fine del Giurassico, più di 150 milioni di anni fa.
Il fossile somigliava in tutto e per tutto a un dinosauro: aveva zampe anteriori con tre dita artigliate, una bocca irta di denti e una lunga coda ossuta.
Ciò che però sconcertò gli scopritori fu l’impronta che circondava lo scheletro: nel finissimo calcare giurassico si era infatti conservata la traccia di lunghe penne che spuntavano dalle braccia e dalla coda, identiche alla singola penna fossile ritrovata solo l’anno prima nella stessa località e attribuita a un animale battezzato Archaeopteryx lithographica, “antica ala della pietra litografica”.
L’Archaeopteryx è un fossile estremamente importante: non solo ha fornito un punto di partenza per l’indagine sull’origine degli uccelli, ma ha anche costituito la prova concreta che la teoria di Darwin sull’evoluzione, pubblicata poco tempo prima nel suo saggio Su “l’origine delle specie”, aveva un fondamento, tanto che i detrattori della teoria additarono Archaeopteryx come un falso creato ad hoc a sostegno di Darwin.
E veniamo così al nocciolo del discorso: è considerato un dato di fatto che Archaeopteryx sia il primo uccello, il più antico rappresentante del gruppo (o più correttamente, del taxon) denominato Avialae.
Quello che è rimasto oscuro per molti decenni dopo la scoperta di Archaeopteyx non è tanto in cosa si stesse evolvendo, quanto da dove arrivasse, cioè da quale animale si sia evoluto.
Sono state avanzate numerose teorie in proposito: alcuni sostenevano che fosse un parente stretto dei coccodrilli, altri che fosse un “cugino” degli pterosauri, altri ancora che fosse un dinosauro le cui squame si erano evolute in penne.
Quest’ultima ipotesi è sempre stata quella più in voga, ma mancavano le prove concrete, qualcosa che confermasse una volta per tutte la validità della teoria.
La risposta è finalmente giunta negli anni Novanta, quando i paleontologi ebbero modo di studiare alcuni scheletri fossili rinvenuti in Cina, nella regione di Liaoning.
Questi fossili sono conservati in sedimenti della Formazione Yixian e vengono datati a circa 120 milioni di anni fa, nel Cretaceo Inferiore; sono chiaramente dei dinosauri, ma come Archaeopteryx possiedono delle piume la cui morfologia spazia da quelle filamentose di Sinosauropteryx a quelle sviluppate e coerenti di Caudipteryx, fino al Microraptor con lunghe penne addirittura sugli arti posteriori.
Questi straordinari ritrovamenti hanno dimostrato che le penne erano già presenti nei dinosauri, provando una volta per tutte che gli uccelli derivano proprio da essi, e in particolare dai bipedi carnivori del gruppo dei Teropodi (per avere un’idea di chi fossero i Teropodi bastano tre nomi: Tyrannosaurus, Allosaurus e Velociraptor).
A ciò vanno aggiunti alcuni resti straordinari che testimoniano da parte dei dinosauri esempi di comportamento molto simili a quelli degli uccelli: fra questi, un Oviraptor morto accovacciato sulle sue uova mentre le stava presumibilmente covando (si è capito che erano sue dagli embrioni rinvenuti in alcune di esse), e il troodontide cinese Mei long, il cui scheletro è acciambellato con la testa sotto una zampa anteriore, proprio come gli uccelli quando dormono.
E’ quindi probabile che anche alcuni comportamenti degli uccelli odierni siano un retaggio dei loro antenati dinosauri.
Paradossalmente, i fossili di Liaoning hanno svelato un mistero ma ne hanno sollevato un altro: se le penne erano già presenti nei dinosauri, che chiaramente non volavano, a cosa servivano? Anche qui le ipotesi si sono sprecate, e fra le varie proposte vi sono l’isolamento termico
molto probabilmente i Teropodi erano predatori endotermi, o un po’ impropriamente “a sangue caldo”, per cui avevano bisogno di trattenere il calore corporeo; i piumini che indossiamo d’inverno sono la prova di quanto le piume possano essere isolanti,
(leggi “I dinosauri erano a sangue caldo o a sangue freddo?”)

oppure la comunicazione tra individui
penne molto colorate potevano aiutare i dinosauri a riconoscere i membri della loro specie,

o ancora come un cosiddetto display sessuale
i maschi avrebbero ostentato un piumaggio vistoso nel tentativo di far colpo sulle femmine.

C’è da dire che nelle diverse famiglie di Teropodi le piume presentano caratteristiche diverse, che guarda caso corrisponderebbero grossomodo alla posizione nel cladogramma, ossia l'”albero genealogico” dei dinosauri: nelle famiglie più antiche si trattava di piume filamentose, dapprima con un solo “ciuffo” e poi con più d’uno; in famiglie successive si è sviluppato l’asse centrale (il rachide) con il vessillo, dato dai rami laterali o barbe, a loro volta ramificate nelle barbule; in famiglie ancora più derivate si sviluppano uncini sulle barbule che conferiscono coerenza al vessillo; infine, il vessillo diverrà asimmetrico e idoneo a consentire il volo: è una condizione che troviamo solo negli Avialae menzionati prima e nei Deinonychosauria, il taxon che comprende le famiglie Troodontidae e Dromaeosauridae, ossia i “raptor” visti nella saga di Jurassic Park.
Appare perciò evidente che le penne dei dinosauri sono state impiegate solo in un secondo momento come supporto per il volo; ciò è accaduto con la comparsa delle penne asimmetriche, il cui profilo crea quell’effetto aerodinamico, detto di portanza, tale da ricevere la spinta verso l’alto fondamentale per staccarsi da terra.
Il primo ad avere i requisiti per sfruttare questa peculiarità delle penne è stato proprio Archaeopteryx; gran parte dei deinonicosauri era troppo grande per potersi alzare in volo, e l’unica eccezione, il Microraptor con quattro “ali” non è ancora ben chiaro se e come fosse in grado di usarle.


Cincia mora (Parus major) – Foto di Alessandra Morgillo

Ma come è nato il volo?
Le scuole di pensiero in proposito sono due: la teoria della “planata verso il basso” si basa sul presupposto che l’antenato di Archaeopteryx fosse un animale arboricolo (ovvero che viveva sugli alberi) che sfruttava la superficie alare per planare come un piccolo aliante, e che nel corso delle generazioni si fosse aggiunto alla planata un intervento dell’animale, che sbattendo le ali avrebbe potuto prolungare il tragitto percorso.
L’altra teoria, quella del “salto in alto” suppone che l’antenato di Archaeopteryx fosse un dinosauro terrestre corridore, che sbatteva le zampe anteriori durante la corsa per prendere velocità; è stato infatti osservato che alcuni uccelli odierni riescono a risalire di corsa pendii anche ripidi sfruttando la spinta verso l’alto offerta dal profilo delle ali; l’evoluzione avrebbe poi selezionato le penne affinché diventassero sempre più lunghe fino a essere in grado di sollevare da terra l’animale, trasformando la corsa iniziale in un rollio prima del decollo.
Non è ancora ben chiaro quale delle due teorie sia corretta, anche se quella del “salto in alto” ha acquisito un certo seguito alla luce delle più recenti ricostruzioni cladistiche.
Di certo, una volta che Archaeopteryx si è staccato da terra, la via per la conquista del cielo si è aperta.
In conclusione, abbiamo visto come la discendenza degli uccelli dai dinosauri, fino a pochi anni fa ancora permeata dal dubbio, sia ormai considerata un dato di fatto.
La prossima volta che nel piatto troviamo un pollo arrosto, quindi, ricordiamoci che stiamo mangiando la coscia di un dinosauro, e ringraziamo che i suoi cugini carnivori si siano estinti, altrimenti sarebbero loro a mangiare umani arrosto!

Dai Dinosauri agli uccelli (parte II)

Un altro passaggio chiave… (Dai rettili ai mammiferi …di Stefano Rossignoli)

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