Giacomo Bracchi

Inizio la rubrica dedicata a personaggi di mia conoscenza con Giacomo Bracchi, una persona da cui ho imparato molto, ma che resta sempre inarrivabile per quanto riguarda la sua capacità di divulgare il pensiero scientifico, la facilità nel farlo e la sua chiarezza.

Stefano Rossignoli 27 novembre 2010

Inizio la rubrica dedicata a personaggi di mia conoscenza con Giacomo Bracchi, una persona da cui ho imparato molto, ma che resta sempre inarrivabile per quanto riguarda la sua capacità di divulgare il pensiero scientifico, la facilità nel farlo e la sua chiarezza.

Giacomo

Ieri sera mi sono recato al Museo Civico di Storia Naturale di Piacenza dove Giacomo, insieme ad alcuni colleghi e alla Società Piacentina di Scienze Naturali avrebbe presentato al pubblico un Libro, scritto da lui e da Enrico Romani, sulla Flora della provincia di Piacenza, in realtà un testo molto tecnico, una cecklist aggiornatissima delle piante vascolari (ovvero con vasi interni  adibiti al trasporto dei liquidi) di questa zona…

Giacomo era mio collega parecchi anni fa durante le mie prime visite guidate Milanesi e ancora poco tempo fa, qualche professore, professoressa o maestro/a mi confessava che avrebbe desiderato lui come guida!

La realtà però ha portato Giacomo a spostarsi in un luogo lontano da Milano dove condurre una vita più piena ed allo stesso tempo essenziale, almeno questa è la mia impressione. Mentre scrivo lui non è ancora al corrente della cosa e non è che l’abbia intervistato! Sono tutte mie impressioni e potrebbero non coincidere con le sue ma spero di no…e spero che mi dia il permesso di pubblicare questo piccolo articolo! Leggi tutto “Giacomo Bracchi”

Come realizzare il calco di un fossile in lastra

La realizzazione del calco di un fossile è spesso utile in quanto gli esemplari originali sono in numero esiguo o addirittura unici al mondo quindi, ai fini dell’esposizione, si realizzano copie dell’originale…
Realizzare un calco, in poche parole consiste nell’ottenere un’impronta (detta matrice) in silicone del fossile e della lastra che lo contiene e poi versarci dentro qualcosa che solidifichi come una resina plastica che ne prenda la forma.
Bisognerà quindi costruire intorno al fossile un contenitore in cui versare il silicone liquido in attesa che ‘solidifichi’ diventando gommoso e prenda la forma del fossile.
L’operazione in cui procedere con maggiore attenzione è quella di sigillare il fossile al ripiano inferiore se non vorrò trovarmi il fossile racchiuso in una lastra di silicone…

Stefano Rossignoli 29 novembre 2010

La realizzazione del calco di un fossile è spesso utile in quanto gli esemplari originali sono in numero esiguo o addirittura unici al mondo quindi, ai fini dell’esposizione, si realizzano copie dell’originale…

Calchi in attesa di colorazione

Questo è il classico caso del famosissimo Tyrannosaurux rex che si trova in molti musei in tutto il mondo, ma la realtà è ben diversa. Di esemplari grossi e belli ce ne sono solo due, uno conservato nello stato del Michigan e l’altro in South Dakota!!!

Tutti i Tyrannosaurus rex che vediamo (anche esposti nei musei che ospitano le ossa originali) sono calchi! Questi sono calchi in tre dimensioni. Io non mi sono mai occupato di realizzarli. La maggior parte dei fossili che ho ‘avuto per le mani’ erano su lastre di rocce sedimentarie (solitamente calcari…) e la necessità mi ha indirizzato a realizzare solo calchi di fossili in lastra e ora metto ‘sul piatto’ la mia piccola esperienza.

La tecnica che vi illustrerò è stata in parte recentemente vietata in Italia. Il motivo è che le leggi che tutelano i fossili sono le stesse che tutelano i beni archeologici, ma ci si vedrà costretti credo a cambiare legge …oppure a smettere di fare i calchi dei fossili.

Attualmente è permessa solo la scansione dell’originale al laser. Il calco poi lo realizzerebbe una macchina utensile (una fresa ad esempio) sul modello digitale in 3D ma, mentre ciò che può fare uno scalpello o una mano lo può fare di solito anche una macchina utensile, ciò che fa la natura (immaginate la pinna di un pesce o la sottilissima ornamentazione di una scaglia) non può essere imitato da una macchina salvo spendendo cifre astronomiche… E’ ancora permesso ovviamente utilizzare il materiale (ovvero le matrici) che risale a prima dell’approvazione di quella legge…

Da dove cominciamo?

Dal ripiano di lavoro. Il laboratorio in cui realizzo comunemente i calchi ha una cappa aspirante. E’ qui che si lavora, perchè i materiali da utilizzare non vanno respirati!!! Leggi tutto “Come realizzare il calco di un fossile in lastra”

Come si riconosce una selce lavorata?

Davide Bertè 27 novembre 2011

La selce è una roccia formatasi in seguito alla deposizione di silice proveniente da radiolari, diatomee o spugne. Poiché ha tessitura amorfa, ha frattura concoide e non si rompe lungo piani di resistenza preferenziali.
La selce e l’ossidiana (una roccia di origine vulcanica) sono state a lungo utilizzate dai nostri antenati per ottenere degli strumenti affilati come rasoi.

selce-lavorata-faccia-ventrale
I metodi principali per la lavorazione della selce sono due: il façonnage e il debitage. Il façonnage prevede di cominciare a lavorare un nodulo di selce per ottenere un oggetto unico di forma determinata e di scartare le schegge ottenute. Il debitage, invece, prevede la produzione di schegge o lame e il nucleo restante alla fine è il prodotto di scarto.
Il nucleo è un blocco di materia prima da cui sono state staccate schegge, lame o lamelle; la scheggia invece proviene da un distacco su un blocco di materia prima colpito da una pressione o sottoposto a pressione.
Ci sono varie tecniche per ottenere le schegge: percussione diretta (colpendo il blocco con un percussore, litico od organico, per es. di corno di cervo o di legno) o percussione indiretta (frapponendo un utensile intermediario, è una tecnica per ottenere lame che compare a partire dal Mesolitico).
Su una scheggia si possono distinguere: 1) una faccia ventrale (con bulbo, ondulazioni, lancette e scagliature); 2) un tallone (cioè parte del piano di percussione che si è staccato con la scheggia); 3) una faccia dorsale (sulla quale si possono riconoscere i negativi delle schegge staccate precedentemente oppure può essere presente il cortice).
Se troviamo una scheggia con tutte queste caratteristiche possiamo essere sicuri di trovarci di fronte a un manufatto. In questo caso segnalate il ritrovamento a un Museo o ad una Università, infatti ricordo che, in Italia,la raccolta di materiale archeologico è vietata dalla legge.

Leggi ‘Le età della pietra’ …di Davide Bertè

Testi consigliati:
il testo migliore che si trovi sull’argomento è:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1995 Technologie de la pierre taillée. CREP, Paris.
Oppure la versione inglese:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1999 Technology and terminology of knapped stone. CREP, Paris.

Come si riconosce una selce lavorata?

La selce è una roccia formatasi in seguito alla deposizione di silice proveniente da radiolari, diatomee o spugne. Poiché ha tessitura amorfa, ha frattura concoide e non si rompe lungo piani di resistenza preferenziali.
La selce e l'ossidiana (una roccia di origine vulcanica) sono state a lungo utilizzate dai nostri antenati per ottenere degli strumenti affilati come rasoi.
I metodi principali per la lavorazione della selce sono due: il façonnage e il debitage. Il façonnage prevede di cominciare a lavorare un nodulo di selce per ottenere un oggetto unico di forma determinata e di scartare le schegge ottenute. Il debitage, invece, prevede la produzione di schegge o lame e il nucleo restante alla fine è il prodotto di scarto.
Il nucleo è un blocco di materia prima da cui sono state staccate schegge, lame o lamelle; la scheggia invece proviene da un distacco su un blocco di materia prima colpito da una pressione o sottoposto a pressione.
Ci sono varie tecniche per ottenere le schegge: percussione diretta (colpendo il blocco con un percussore, litico od organico, per es. di corno di cervo o di legno) o percussione indiretta (frapponendo un utensile intermediario, è una tecnica per ottenere lame che compare a partire dal Mesolitico).
Su una scheggia si possono distinguere: 1) una faccia ventrale (con bulbo, ondulazioni, lancette e scagliature); 2) un tallone (cioè parte del piano di percussione che si è staccato con la scheggia); 3) una faccia dorsale (sulla quale si possono riconoscere i negativi delle schegge staccate precedentemente oppure può essere presente il cortice).
Se troviamo una scheggia con tutte queste caratteristiche possiamo essere sicuri di trovarci di fronte a un manufatto. In questo caso segnalate il ritrovamento a un Museo o ad una Università, infatti ricordo che, in Italia,la raccolta di materiale archeologico è vietata dalla legge.

Testi consigliati:
il testo migliore che si trovi sull'argomento è:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1995 Technologie de la pierre taillée. CREP, Paris.
Oppure la versione inglese:
Inizian M.L., Reduron M., Roche H., Tixier J. 1999 Technology and terminology of knapped stone. CREP, Paris.
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