Di nuovo sul Monte San Giorgio -perlustrazione, primavera 2014

21 aprile 2014

E’ l’amico Enrico che anche questa volta mi ha invitato a fare un giretto sul Monte San Giorgio con la sua IV media e a raccontargli qualcosa della montagna, della sua storia passata e recente…

Prima però si deve fare un sopralluogo ed è così che  qualche giorno prima di Pasqua ci troviamo su io, Enrico (con Ale, uno dei suoi figlioli) e Davide Bertè che ben conoscete…

Partiamo dalla miniera di Serpiano dove, attorniato da porfidi e andesiti permiane, affiorava il filone MASELLI, un filone di rocce vulcaniche contenente Barite (o Baritina).

Miniera di Barite del Filone Maselli
Miniera di Barite del Filone Maselli

Qualche anno fa ho sentito dire che volevano rendere visitabile la miniera dopo una bonifica… Quando lavoravo ancora per UNESCO Monte San Giorgio prima che istituissero le guide ufficiali, durante le visite alla miniera, evitavo di far avvicinare molto la gente all’apertura perchè non mi ispirava sicurezza, in effetti facevo bene e, complice qualche pioggia di troppo, è crollata parte della volta d’ingresso e la galleria è ormai quasi invisibile…

Così si presentava un paio di anni fa:

Miniera di Serpiano - Filone Maselli 2011
Miniera di Serpiano – Filone Maselli 2011

Tutto si evolve e in montagna, l’erosione e i crolli la fan sempre da padroni e noi spesso possiamo solo osservare inermi…

A proposito di evoluzione, partiamo da Serpiano e andiamo verso Meride perchè così si possono incrociare quasi tutte le formazioni rocciose della montagna, dalla più antica alla più recente (come spiegato in questo video di qualche tempo fa). Non incontreremo la parte pre-permiana (che affiora a livello del Lago di Lugano) e la parte di Triassico-sup e di Giurassico (che comunque non compone propriamente il Monte San Giorgio ma altri rilievi circostanti).

La parte che ci interesserà sarà quella triassica, più precisamente quella del triassico medio, che affiora a partire dalla formazione di Besano (vedi il Video) che “contiene” il limite tra i piani Anisico e Ladinico.

Questa formazione affiora appena sopra Serpiano (“Tre Fontane”) e qui gli operai delle miniere lavoravano duramente per estrarre il materiale da cui ricavare Bitume. Le miniere sono ormai chiuse per i crolli e l’erosione che porta in continuazione materiale sulle antiche aperture ma è curioso camminarci a fianco ed immaginare il brulicare di persone che dall’800 fino al primo dopo guerra lavoravano in quei luoghi…

Lavoro in miniera a Serpiano "Tre Fontane"
Lavoro in miniera a Serpiano “Tre Fontane”

Da qui, andiamo verso sud, passiamo per gli affioramenti di Dolomia… Non la Dolomia Principale (che affiora sul Poncione di Arzo alla nostra destra) ma la Dolomia del Monte San Giorgio (o del San Salvatore), attraversiamo la strada Arzo-Serpiano e ci spostiamo verso gli affioramenti del “Calcare di Meride” della Cava Inferiore e della Cava superiore (che contiene al tetto un livello di ceneri vulcaniche probabilmente databile in modo assoluto), molto vicini ma anche differenti come tempo di deposizione e contenuto in fossili.

E’ irresistibile la tentazione di osservare da vicino qualche lamina del Calcare di Meride, sperando di trovarci un insetto fossile di più di 200 milioni di anni fa…ma anche questa volta non ha funzionato!!!

Incrociamo quasi certamente gli strati fossiliferi di Cassina e della Kalschiferzone ma dove passiamo noi non affiorano…siamo solo circondati da splendidi boschi caratterizzati in questo periodo dal profumo delicato di Aglio ursino che al nostro calpestio si fa subito sentire… Il substrato roccioso è coperto dai boschi e dai depositi glaciali quaternari rimaneggiati spesso da alluvioni, torrenti e in generale dalla forza di gravità…

Proseguiamo per Meride e non possiamo esimeci dal visitare il nuovo Museo dei Fossili del M.S.Giorgio. L’ingresso è un po’ caro  (12Fr = 10€), anche se la visita al museo è davvero gradevole. La scelta mi sembra più estetica che didattica (come personalmente preferisco) ma se ne possono comunque trarre alcune informazioni preziose riguardo la storia della Montagna…

Davide Bertè indica un campione di "Formazione di Besano"
Davide Bertè indica un campione di “Formazione di Besano” e la sua localizzazione schematica all’interno della montagna

Dal Museo poi continuiamo per la Via Bernard Peyer dedicata al mitico professore dell’università di Zurigo, un pioniere per quanto riguarda gli studi Svizzeri sui fossili del M.S.Giorgio.

In Italia invece i mitici Curioni, Stoppani e Cornalia studiarono quelli delle miniere di Besano qualche decennio prima…

Bernard Peyer e il suo staff
Bernard Peyer e il suo staff (il mio professore si è sempre caricato anche lui chili e chili di sassi!!!)

Il sentiero ci porta verso Riva San Vitale, spesso a mezza costa con qualche tratto a tornanti, ripido ma sempre facile al punto che mi vien voglia di tornarci prossimamente a percorrerlo in bicicletta dalla cima fino al Lago di Lugano (ovviamente con la parte di salita fatta pedalando!!!).

Da Riva, torniamo in macchina fino in località “Crocifisso” dove parcheggiamo e ripartiamo verso Besano (ITA) attraversando il confine al Cippo n°54. Passando qualche bivio non segnato (per i quali avevo lasciato una mini-relazione nei commenti di questo post) un po’ a memoria e un po’ “a naso” arriviamo al sito di scavo del “Sasso Caldo” in cui si può vedere ancora la Formazione di Besano affiorare in tutta la sua potenza (o spessore che dir si voglia!).

Davide legge i pannelli esplicativi all'affioramento del "Sasso Caldo"
Davide legge i pannelli esplicativi all’affioramento del “Sasso Caldo”

Non siamo ancora soddisfatti, le gambe vanno e attraverso bivi e sentieri pieni di foglie secche di faggio ci dirigiamo alle “Piodelle”, le miniere di scisti appena sopra Besano. Qui la formazione di Besano si interrompe con una faglia e si affaccia sul basamento Permiano fatto di Andesiti e Porfidi…

Miniere appena sopra Besano - Selvabella, Le Piodelle
Miniere appena sopra Besano – Selvabella, Le Piodelle

Sono affamato. Un pezzo di cioccolato con un po’ di pane e invertiamo la rotta per rientrare. Sarebbe curioso passare anche per lo scavo a bordo strada di “Rio Ponticelli” ma l’ora è tarda e bisogna tornare…

Rientramo attraverso i boschi stupendi di faggio, di carpino, affollati di Saponaria e ancora di Aglio, Aquilegia e piante di ogni genere e specie… Sono sentieri poco frequentati, luoghi ancora abbastanza selvaggi, luoghi che conoscono spesso i paleontofili più che i paleontologi e luoghi che sanno di storia antica, fatta di persone che tiravano a campare grazie alla loro abilità, la forza di braccia, di gambe e d’animo …e grazie alle rocce di indubbio valore storico e scientifico e che comunque…

…qualche soldino potrebbero ancora portarlo…

 

 

Le Dolomiti della Valsassina

Stefano Rossignoli – inverno 2013/14

In collaborazione con RADAR, il trimestrale del CAI Corsico

“Ste, mi sa che ora tocca a noi andare a battere traccia!”.
“OK Toso. Prendo la picca e arrivo!”
“E’ ben ripido qui e c’è un sacco di neve”.

si batte traccia!
Si batte traccia!

I nostri soci han fatto un ottimo lavoro ma ora su, è ora di dargli il cambio. Mancano gli ultimi tratti ripidi e siamo all’attacco.
Qualche sosta per decidere dove andare o per abbattere gli accumuli di neve portata dal vento sui colli o tra un masso e l’altro e poi su. Ci siamo quasi!
Eccolo là il vecchio fittone posizionato nella roccia con saggia maestria ad indicare la via e a fornire un’ottima base per assicurare il primo di cordata.

Primo fittone - Cresta Ongania allo Zucco di Pesciola
Primo fittone – Cresta Ongania allo Zucco di Pesciola

Siamo all’attacco della cresta Ongania allo Zucco di Pesciola.
E’ il 21 dicembre 2013 e, insieme all’inverno, comincia anche il corso invernale di formazione per gli istruttori della scuola di Alpinismo CAI Corsico.
Che belle le “Dolomiti”, con questa roccia così particolare, anche se oggi dobbiamo fare i conti con più di mezzo metro di neve fresca.
No Ste! Ferma un attimo: Lo zucco di Pesciola non è in Dolomiti, ma tra il Lecchese e la Bergamasca.
E’ vero!
Geograficamente parlando è verissimo, ma Geologicamente parlando non è così sbagliato.

“Che dici Toso? Quest’anno il corso di Arrampicata su roccia comprenderà anche cenni di Geologia e potremmo rendere partecipi anche i lettori di Radar!”.

“Benfumata!” mi dice!

…già, perchè il Toso ha sempre qualche bel modo di dire da sfoderare!

Beh. Mi spiace per voi appassionati di montagna! Se pensavate di leggere l’epica relazione della prima invernale della stagione 2013/14 siete cascati male.

Parleremo di Geologia!
Dopo un tiro e mezzo di corda infatti, per svariati motivi, e per non passare la notte in parete, fatti quattro conti coi tempi e le condizioni del tracciato la cui discesa da un certo punto in poi passa dalla cima e col tempo previsto in peggioramento, le impavide cordate han deciso saggiamente di fare retrofront con una bella discesa in doppia per poi conquistare la vetta dal facile itinerario previsto per la discesa, scendendo anche in tempo per una pastasciutta in rifugio…

Ma torniamo alla Geologia e alle “Dolomiti” del Lecchese.

Non si chiameranno così sull’Atlante o su google ma spesso (e almeno per noi della Scuola di Alpinismo CAI Corsico) , la roccia delle Dolomiti è anche dietro casa nostra.
E’ LA STESSA roccia del  Monte Civetta ad esempio…

Monte Civetta visto da Saviner di Laste
Monte Civetta visto da Saviner di Laste

La troviamo vicino al lago di Lugano, nel Triangolo Lariano sul Monte Rai, in Valsassina sulloZucco di Teral, Dito Dones, nel Canion di Balisio fino alle cime del Monte due Mani, dello Zucco Barbisino, Campelli e Pesciola, sulla cima del Resegone, nella Bergamasca, nel Bresciano, fino in Slovenia e anche a sud fin nell’Appennino centrale e meridionale dove affiora ad esempio in alcune zone del Gran Sasso.

E’ la stessa roccia. Ha la stessa struttura, la stessa età, la stessa origine. Ce n’è molta di più di quella che vediamo e, tanto per cominciare, oggi parleremo di questo.

Come e dove si è formata la Dolomia delle Dolomiti chiamata “Dolomia Principale”?

Ma prima bisogna passare dal calcare!

…mi spiego…
Bisogna tornare indietro nel tempo, “poco” più di 200 milioni di anni fa, quando i continenti terrestri si trovavano qualche migliaio di km più a sud di adesso.
Tra i continenti del nord che erano ancora attaccati tra loro e quelli del sud anch’essi tutti uniti tra loro, si stava aprendo un oceano che i Geologi chiamano Tetide.

Pangea, Tetide e Pantalassa
Pangea, Tetide e Pantalassa – Più o meno nella zona evidenziata in rosso si sono formate le rocce di cui parliamo

Il golfo occidentale di questo oceano si trovava più o meno all’altezza dell’equatore terrestre. Era quindi un mare caldo, almeno sulle coste, come quello di oggi ai Caraibi ad esempio, alle Bahamas, Seychelles, Tonga, Maldive, ecc, ecc.
Ai margini dei continenti, si trovavano ampie zone (chiamate Piattaforme) in cui la profondità delle acque marine era bassa. L’acqua quindi era calda e ricca di luce. Il sole forniva molta energia agli organismi acquatici che prosperavano abbondanti.
Molti di questi organismi, sia vegetali che animali come alghe, molluschi, coralli e svariate forme di vita unicellulari, possedevano scheletri o gusci formati da carbonato di calcio (il maggior costituente del CALCARE) e si accumulavano in enormi quantità.
Il loro stesso peso, nonché i continui movimenti della crosta terrestre permettevano spesso ai fondali di sprofondare (fenomeno chiamato subsidenza) con velocità bassa e piuttosto regolare in modo da mantenere la profondità dell’acqua e le condizioni ambientali costanti per lungo tempo.
Si accumularono così enormi quantità di Carbonato di Calcio massiccio e cementato spessi fino a oltre 1500m, depositatisi ai margini tra questo antico oceano e gli antichi continenti.
Ai margini delle piattaforme, nei cosiddetti bacini sedimentari, l’erosione accumulava fanghi carbonatici che formavano strati più o meno sottili e regolari che poi divennero rocce a stratificazione più sottile.

bacino e piattaforma carbonatica
bacino e piattaforma carbonatica

Se abbiamo il calcare su cui scalare, dobbiamo allora ringraziare miliardi di miliardi di organismi che hanno preso i sali minerali dall’acqua, li hanno fissati nei loro gusci e scheletri e si sono poi cementati sulle piattaforme.

Come facciamo a saperlo? Semplice! Guardando dove succede oggi!
Ad esempio, possiamo vedere i calcari massicci in formazione sulle piattaforme carbonatiche delle Bahamas attuali nei pressi del Golfo del Messico.

Le Bahamas però sono una piccola Piattaforma carbonatica rispetto a quella di centinaia di migliaia di km 2 che originò la roccia delle Dolomiti.

Per ora però abbiamo parlato solo di calcare e non di dolomia.

Ma quindi? La dolomia come si formò?

La dolomia è un po’ diversa dal calcare.

Il calcare è Carbonato di Calcio, la dolomia è Carbonato di Calcio e Magnesio in cui il Magnesio sostituisce metà del Calcio presente nel calcare.
– La dolomia quindi era un calcare che poi si è trasformato. Già, perchè non si conosce nessun organismo che faccia o facesse gusci composti già da Dolomia.

Come è avvenuta questa sostituzione e trasformazione?

Bella domanda!

– Per ora sappiamo con certezza dove è avvenuta più che come.

La conformazione delle montagne veramente dolomitiche ci aiuta a capirne l’origine.

Nelle figure vediamo come la Dolomia Principale si presenta con una stratificazione massiccia. La neve spesso aiuta a riconoscere la stratificazione. In rosso sono evidenziati i limiti tra alcuni strati.

Stratificazione massiccia dolomia
Stratificazione massiccia della dolomia

Tra questi strati è spesso presente una cengia o uno strapiombo marcato.

Zuccone Campelli- Dolomia Principale
Zuccone Campelli- Dolomia Principale

I limiti tra uno strato e l’altro si formarono a causa di periodi di interruzione nella deposizione del Carbonato di Calcio, a causa dell’emersione temporanea dal mare.

Sulle superfici di interstrato (tra uno strato e l’altro) si trovano infatti anche piste di orme fossili di rettili terrestri anche di grandi dimensioni, in alcune zone si trovano strutture che oggi si formano sulle piane di marea, il che aiuta a immaginare il livello bassissimo dell’acqua e la possibile emersione temporanea.

Possiamo allora immaginare che il calcare che diede origine alla Dolomia Principale si sia formato mediamente a pelo dell’acqua in una zona di costa interessata anche dalle maree.

Anche la dolomitizzazione quindi doveva avvenire a pelo dell’acqua perchè non si possono trasformare milioni di km3 di calcare in dolomia, il tutto in un colpo solo…

Si formava calcare che diventava dolomia in continuazione, prima che sopra di esso si formasse altro calcare e così via per qualche centinaio di migliaia di anni.

Perchè avvenisse questo, pare che dovesse esserci un’enorme disponibilità di magnesio nelle acque marine, certamente maggiore di quella attuale.

Questa dolomitizzazione, così netta e abbondante, avvenne solamente nel Norico (un periodo intorno ai 210 milioni di anni fa).

Prima e dopo, gli episodi di dolomitizzazione furono minori, seppur diffusi. Per questo motivo, la formazione rocciosa che ne derivò venne chiamata “Dolomia Principale”.

Vedremo in futuro la formazione di altri tipi di rocce e i meccanismi con cui sono arrivate nei luoghi in cui le vediamo e successivamente modellate con le forme attuali!

…comunque sia… Le Dolomiti sono stupende e le amo ma, per non fare almeno 500Km prima di calpestare della Dolomia, io la Dolomia la vado a calpestare poco a nord di Milano!!!

 

Bibliografia varia:

http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/periodicitecnici/quaderni-sgi/quaderno7fasc6/quad-7-vi-dolomia-principale.pdf

 

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