Alla (ri)scoperta del griposauro di Milano

Daniele Tona – 24 febbraio 2018

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Il 2018 è iniziato da poco (a proposito: buon anno un po’ in ritardo a tutti i lettori!) e sono state già pubblicate numerose ricerche su nuove, interessanti scoperte che riguardano il mondo dei dinosauri. Nel corso dei prossimi post conto di riuscire a presentare alcuni di questi studi che un po’ alla volta stanno delineando un’immagine dei dinosauri che si discosta sempre più da quella che fin troppo spesso i mass media si ostinano a rappresentare.

Ciò di cui parliamo oggi è un lavoro di recente pubblicazione che è stato presentato ufficialmente martedì 30 gennaio durantela conferenza stampa tenutasi al Museo di Storia Naturale di Milano, nell’ambito delle celebrazioni per i 180 anni dalla fondazione del museo meneghino avvenuta il 7 maggio 1838. Lo studio, i cui autori sono Filippo Bertozzo, Cristiano Dal Sasso, Matteo Fabbri, Fabio Manucci e Simone Maganuco, è stato pubblicato come monografia nel Volume 43 delle Memorie della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, ed è una ridescrizione di uno degli esemplari storici conservati nella collezione del museo: si tratta di uno scheletro di Gryposaurus notabilis, un dinosauro del gruppo degli adrosauri, ossia quegli erbivori caratterizzati da un becco largo e piatto che ricorda esteriormente quello di un’anatra.

Come detto il griposauro è uno dei “residenti” di più lungo corso del museo di Milano, e la storia della scoperta e dello studio di questo fossile è ormai quasi centenaria. Lo scheletro venne rinvenuto nel 1922 da John B. Abbott durante una campagna di scavo condotta da George F. Sternberg del Field Museum di Chicago nella regione canadese dell’Alberta, in rocce del Cretaceo Superiore appartenenti alla Dinosaur Park Formation. L’esemplare rimase a Chicago fino al 1958, quando fu donato al Museo di Storia Naturale di Milano in cambio di pesci fossili dal celebre sito eocenico di Bolca (sito di cui abbiamo già parlato in passato proprio per i suoi pesci); il griposauro divenne così il primo scheletro di dinosauro acquisito dal museo milanese, all’epoca impegnato nella ricostruzione delle sue collezioni dopo la devastazione subita durante la Seconda Guerra Mondiale, ed è quindi per così dire il “decano” tra i dinosauri del museo benché non goda della stessa notorietà di altri esemplari più vistosi come l’allosauro o il tirannosauro che torreggiano sui visitatori nella sala dedicata ai signori del Mesozoico. Leggi tutto “Alla (ri)scoperta del griposauro di Milano”

I fossili sono ovunque… anche dove meno te li aspetti!

Daniele Tona – 30 novembre 2017

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Il post di oggi sarà piuttosto breve, non starò a sviscerare nel dettaglio un argomento o una scoperta recente; voglio piuttosto mostrare una cosa curiosa in cui mi sono imbattuto qualche tempo addietro a casa di amici (beh, tecnicamente nell’androne del palazzo, ma il senso è quello). Nell’osservare le piastrelle del pavimento il mio occhio è caduto su una piastrella in particolare, sulla quale ho immediatamente riconosciuto una forma assai peculiare.

Ecco il fossile conservato nella piastrella. Quella a sinistra è la foto originale (chiedo venia per la qualità non eccelsa del mio telefono), mentre nella foto a destra ho leggermente ricalibrato luminosità e contrasto per dare maggior risalto alle divisioni interne della conchiglia. Foto: Daniele Tona

Come si può vedere dalla foto la forma è quella inconfondibile di una conchiglia fossilizzata, caratterizzata da una serie di camere che si susseguono formando una struttura dal profilo cosiddetto a planispirale, cioè una spirale che si sviluppa su un piano bidimensionale. La conchiglia è visibile in sezione per lo più parallela al piano su cui si sviluppa la spirale; le linee ondulate che sembrano partire dal centro in tutte le direzioni sono in realtà i setti, cioè le pareti che delimitano le varie camere in cui è divisa la conchiglia che si formano quando l’animale, che viveva sempre nella camera più esterna, cresceva al punto da cominciare a starci stretto e così ne produceva una nuova più adatta alla sua taglia. Leggi tutto “I fossili sono ovunque… anche dove meno te li aspetti!”

Borealopelta, ovvero come la natura non smette mai di sorprendere

Daniele Tona – 11 settembre 2017

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A dispetto di quello che l’iconografia cinematografica può indurre a pensare, normalmente i resti fossili che i paleontologi estraggono dalle rocce sono ben lontani dal fornire un’idea chiara e immediata dell’aspetto dell’organismo al quale appartengono; la norma è rinvenire resti parziali, disarticolati, frammentati o soltanto singoli elementi di scheletri interni o esterni assai più complessi. Un esemplare pressoché intero (diciamo sopra il 90% di completezza), magari anche articolato, che rispecchi fedelmente l’anatomia in vita è un ritrovamento molto più che raro, forse praticamente unico. “Ci vuole un gran feeling”, disse una volta a lezione il mio professore di paleontologia dei vertebrati mimando enfaticamente il gesto che rappresenta la parte del corpo umano tipicamente associata alle clamorose botte di fortuna.

Eppure, alle volte, la natura è capace di superare la più vivida immaginazione, e ci regala fossili talmente completi e ben conservati da pensare che siano troppo belli per esser veri: Archaeopteryx, con le sue piume impresse sul calcare litografico che hanno dimostrato che le idee di Darwin non erano eresie senza capo né coda; Scipionyx, che pur non avendo conservato la copertura esterna di piume (perché possiamo dare praticamente per scontato che la bestiola in questione fosse piumata) ci ha dato un’immagine di come dovessero essere le interiora di un dinosauro; la ricca fauna di Messel, che ha preservato i peli, le squame e le piume degli animali come se fossero stati sepolti da pochi giorni anziché da cinquanta milioni di anni. La lista potrebbe andare avanti per un po’, in ogni modo tutti questi esempi, per eccezionali che siano dal punto di vista della conservazione, sono comunque stati vittima di processi che in qualche maniera li hanno modificati schiacciandoli, asportando delle parti o disarticolandole, più in generale alterandoli quel tanto che basta da non poter più rendere adeguatamente l’aspetto di quell’organismo vivo, vegeto e in tre dimensioni.

Ecco dunque che la natura parte in contropiede e fa saltar fuori qualcosa che riesce a ovviare agli inconvenienti che affliggono i pur spettacolari fossili testé citati. Si tratta del fossile di un dinosauro del gruppo degli anchilosauri, ossia quei dinosauri erbivori che hanno portato all’estremo il concetto di protezione sviluppando una vera e propria armatura di piastre ossee che ricopriva il dorso, la coda e la testa, spesso corredata di lunghi spuntoni e, nel caso della famiglia Ankylosauridae, anche di una mazza all’estremità della coda composta da placche spesse e robuste che potevano facilmente spezzare le gambe a qualunque predatore in cerca di guai.

L’incredibile fossile di Borealopelta e la (molto) probabile ricostruzione del suo aspetto. La scale bar è 10 cm. Image credit: Royal Tyrrell Museum

L’esemplare in questione è incompleto, poiché privo della coda, delle zampe posteriori e di parte della regione del bacino. Detto così non sembrerebbe all’altezza degli illustri esempi citati qualche riga più su, ma ciò che lo rende davvero straordinario è il modo con cui si è conservata la parte di corpo rinvenuta: i singoli elementi che componevano l’armatura di questo dinosauro hanno infatti mantenuto la stessa posizione che avevano quando l’animale era vivo, senza subire disarticolazione, trasporto o frantumazione, e il fossile non è stato neppure appiattito dal peso dei sedimenti soprastanti. In altre parole, significa che la parte di corpo preservata è una riproduzione pressoché perfetta del dinosauro quando è morto, e se noi tornassimo indietro nel tempo fino a poco prima che morisse esso avrebbe avuto lo stesso aspetto (in termini di conformazione della testa, disposizione delle piastre ossee, proporzioni corporee e quant’altro) immortalato nella roccia dai processi di fossilizzazione. Sembra una banalità, ma molte volte la frammentarietà dei resti fossili costringe ad accontentarsi di mere ipotesi quando si tratta di ricostruire le fattezze di un organismo estinto, e tali ipotesi sono tanto più speculative quanto più scarsi sono i resti a disposizione dei paleontologi. Basta pensare a Deinocheirus: fino a quando erano note solo le braccia l’unica cosa certa era la famiglia a cui apparteneva; quando poi è saltato fuori il resto dello scheletro si è capito che la sua anatomia era molto più bizzarra di quanto gli studiosi avessero potuto immaginare. Leggi tutto “Borealopelta, ovvero come la natura non smette mai di sorprendere”

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