I Fossili. Cosa sono e come si conservano.

I fossili sono resti riconoscibili di organismi vissuti nel passato, comprese le tracce di attività biologica …anche queste ultime del passato, s’intende!
Premetto che odio le definizioni, sono sterili e difficili da memorizzare, ma la definizione di fossile invece è molto semplice e dice già tutto.

Stefano Rossignoli 24 Settembre 2009

Caspita! Avete abbastanza tempo? Diciamo che ci vorrebbero almeno un paio di settimane, per leggere una buona parte dei casi di fossilizzazione conosciuti, ma una cosa possiamo farla velocemente: scrivere cosa sono i fossili…

scavo paleontologico in roccia
scavo paleontologico in roccia

 

I fossili sono resti riconoscibili di organismi vissuti nel passato, comprese le tracce di attività biologica …anche queste ultime del passato, s’intende!

Premetto che odio le definizioni, sono sterili e difficili da memorizzare, ma la definizione di fossile invece è molto semplice e dice già tutto.

Dico questo perchè basta aggiungere o togliere qualche parola per alterarla…
Ad esempio basterebbe dire che sono resti pietrificati e potremmo creare molta confusione, non sapendo come chiamare un Mammuth congelato o usando termini poco esplicativi come ‘sub-fossili’… o dimenticare di scrivere riconoscibili e allora anche il petrolio che deriva da decomposizione di organismi, dovremmo dire che è un fossile…
Comunque sia, l’importante è avere le idee chiare e non complicarsi la vita!
Allora, per quanto mi riguarda, un dinosauro, un mammuth, una pianta, una conchiglia, un’organismo, purchè sia del passato(non per forza estinto, magari anche esistente tutt’ora) è un fossile, qualunque sia il suo stato di conservazione.
Facile, no?
E così un problema l’abbiamo risolto!
Ma le tracce? Di che tipo sono? Di cosa stiamo parlando?
Di tracce!!! della più comune specie… Un orma, una tana, l’impronta lasciata da un morso, un escremento, un uovo, cioè tutto ciò che ci indica la presenza di uno o più organismi o un loro tipo di comportamento…
Nella letteratura specializzata le troverete sempre col nome di un comportamento, e non di un organismo in quanto di solito non si capisce con precisione chi le ha lasciate!

Ed ora veniamo alla fossilizzazione… come si conservano i fossili?
Lo studio dei processi di conservazione viene chiamato tafonomia e si occupa di capire cosa è successo al fossile dal momento della morte dell’organismo, fino al suo ritrovamento.
L’evento più importante (necessario ma non sufficiente) che deve accadere è di certo il seppellimento ed è così importante che divide letteralmente in due la tafonomia!
1 – La Biostratinomia che va dalla morte dell’organismo fino al suo seppellimento.
2 – La fossilizzazione in senso stretto o fossildiagenesi, al termine della quale il fossile sarà litificato (cioè trasformato in roccia) e in equilibrio con la litosfera… (la parola fossildiagenesi fa pensare che non si possa chiamare fossile un resto di organismo antico non diagenizzato, ovvero non litificato! …ma come dicevo poco fa, non mi piace tanto questa storia…).

Come dico spesso, la conservazione e soprattutto il ritrovamento di un fossile sono frutto di una serie di coincidenze e quindi è un processo letteralmente improbabile, quindi sono pochissimi i resti che conosciamo rispetto all’effettivo numero di organismi vissuti nel passato.

Ora mi sembra inutile elencare in modo dettagliato ogni aspetto della conservazione nel tempo di un organismo, ma vediamo almeno in generale cosa può accadere.

Prima di tutto bisogna dire che quando un organismo muore, sono innumerevoli le cose che possono accadergli e non tutte favoriscono la fossilizzazione. Basti pensare che un organismo morto può essere mangiato in parte o completamente, oppure può essere trasportato da una corrente molto forte e quindi distrutto o disarticolato. Da qui si deduce che sono buoni luoghi di fossilizzazione quegli ambienti dove la vita è assente o non è favorita, in modo che siano pochi o assenti gli organismi (ad esempio i predatori o i necrofagi mangiatori di carogne) che possono mangiare e/o dirstruggere l’organismo morto…
E’ quindi ovvia l’importanza del seppellimento che serve a proteggere il resto, quasi come se fosse chiuso in una cassaforte…
E’ importante che il seppellimento avvenga con una buona velocità, in modo da proteggere quanto prima l’organismo morto. Anche da sepolto però, ciò che rimane, può essere distrutto dal passaggio di altri organismi, oppure può essere addirittura sciolto…

A questo proposito bisogna precisare che le parti di un essere vivente, reagiscono in modo diverso a seconda del materiale di cui sono fatte…

Dobbiamo distinguere tra parti dure: ossa, gusci, corazze, parti di piante lignificate, corna ossee (già, perchè ad esempio quelle dei rinoceronti non sono ossee come ad esempio quelle di un bovino, ma sono fatte di materia organica), ecc e parti molli, composte di materia organica come pelle, carne, unghie, peli, il corpo dei molluschi, dei vermi, ecc.

Il destino della materia organica e quindi in generale delle parti molli, è quello di non conservarsi nel tempo e di venire mangiate o comunque decomposte ad opera di microorganismi anche dopo il seppellimento. Solo molto raramente avviene la loro conservazione, ad esempio tramite il congelamento oppure la litificazione…
Sono le parti dure che si conservano più facilmente.
La maggior parte dei fossili che si trovano, sono litificati, cioè trasformati in roccia. Molto spesso è stata l’acqua ad impregnare le parti dure depositando sali minerali al loro interno.
Ma cosa sono i sali minerali?
Sono minerali (ovvero i componenti delle rocce) che si possono sciogliere in un solvente, in questo caso nell’acqua. Non sono salati, cioè saporiti!!! Un sale è semplicemente un composto chimico le cui molecole si sciolgono dividendosi in due parti, ma ‘forse’ per questo è meglio rivolgersi a un chimico!!

Un sale minerale comune? Il cloruro di sodio, ovvero il sale da cucina, ma anche il carbonato di calcio, ovvero il calcare, il fosfato di calcio, ecc… Ce ne sono a bizzeffe!
Litificare però non è il solo modo di conservarsi. Un organismo può congelare e raffreddarsi a tal punto che la decomposizione si blocca e si conserveranno anche le parti molli (fino a che non sgeleranno e allora ricominceranno i processi di decomposizione), può carbonizzare, cioè bruciare solo parzialmente, può essicare, formando un resto che viene chiamato ‘mummia naturale’.

mummia naturale
Una mummia naturale di un piccolo roditore

Può succedere veramente di tutto!

Ma ricordate che qualunque sia l’organismo in questione, è molto più facile andare incontro a processi che degradano il resto, piuttosto che conservarlo. Starà alla fortuna e abilità del paleontologo riportare alla luce i resti di un mondo passato tutto da scoprire e da studiare…

I Fossili. Ricerca e Preparazione.

Per trovare un fossile, bisogna innanzi tutto sapere dove cecare. I luoghi ideali sono quelli dove era possibile la fossilizzazione, cioè dove poteva avvenire il seppellimento e la conservazione del resto.
Allora bisogna cercare nelle rocce sedimentarie, oppure in sedimenti antichi non ancora litificati (cioè non ancora trasformati in roccia). Anche in questo caso però devo precisare che questi sedimenti, o queste rocce devono essersi accumulati e formati in ambienti a bassa energia in cui l’organismo sia stato danneggiato il meno possibile durante il seppellimento, ovvero non sotto ad una grande frana oppure nel letto di un fiume… L’ideale è sempre un bacino di acqua piuttosto profondo (qualche centinaio di metri)e relativamente isolato, in cui si depositano strati di sedimenti molto regolari e laminari… Questi, una volta trasformati in roccia, si apriranno in modo relativamente facile.
E’ in questo tipo di rocce che si va a cercare solitamente, ma le casistiche sono davvero varie ed innumerevoli…

Stefano Rossignoli 23 Settembre 2009

Two fishes in one from Former Worlds on Vimeo.

Chi non si è mai chiesto:”Ma come si fa a trovare un fossile?” e soprattutto quante volte me lo hanno chiesto in giro per mostre e musei…
“Ma come fate a sapere che sono lì? Esistono strumenti per determinarne la presenza?”.

Sono anni ormai che mi occupo di scavi paleontologici e, pur avendo un’esperienza ancora limitata, qualche fossile l’ho estratto anche io in situazioni molto diverse tra loro e vedrò di parlarne un attimo…
Mi riferirò ai fossili relativamente grandi, per quelli microscopici ci penseremo più in là!
Prima di tutto, che cosa si intende per ‘fossili’? Questi sono i resti degli organismi vissuti nel passato, purchè siano riconoscibili come tali. Sono comprese tra i fossili anche le tracce di attività biologica, ma per questo vi rimando a questo mio articolo dedicato…‘I fossili. Cosa sono e come si conservano.’.
Per trovare un fossile, bisogna innanzi tutto sapere dove cecare. I luoghi ideali sono quelli dove era possibile la fossilizzazione, cioè dove poteva avvenire il seppellimento e la conservazione del resto.
Allora bisogna cercare nelle rocce sedimentarie, oppure in sedimenti antichi non ancora litificati (cioè non ancora trasformati in roccia). Anche in questo caso però devo precisare che questi sedimenti, o queste rocce devono essersi accumulati e formati di solito in ambienti a bassa energia in cui l’organismo sia stato danneggiato il meno possibile durante il seppellimento, ovvero non sotto ad una grande frana oppure nel letto di un fiume (anche se in alcuni casi si possono trovare fossili anche lì!)… L’ideale è sempre un bacino di acqua piuttosto profondo (qualche centinaio di metri)e relativamente isolato, in cui si depositano strati di sedimenti molto regolari e laminari… Questi, una volta trasformati in roccia, si apriranno in modo relativamente facile.
E’ in questo tipo di rocce che si va a cercare solitamente, ma le casistiche sono davvero varie ed innumerevoli…
Può venire l’idea che i paleontologi o i loro collaboratori vadano a cercare i fossili col sottomarino, sott’acqua, ma questo non è possibile e non avviene praticamente mai.
Si cerca nei depositi o nelle rocce antiche che affiorano e che non sono più immerse. Ma come è possibile?
Questo è possibile grazie ai movimenti continui della crosta terrestre.
Quando due parti della crosta vanno in collisione, il mare tra loro compreso si ‘chiude’ e questo urto al rallentatore provoca la compressione e l’innalzamento delle rocce formatesi nel bacino marino fino a che queste possono affiorare.
Famosa è la collisone tra una placca di origine africana e il sud dell’Europa. Questa ha dato origine alle Alpi ed è cominciata circa 44 milioni di anni fa (44ma). Un po’ meno famosa, ma certamente efficace è la collisione tra India ed Asia meridionale che ha dato origine alla catena dell’Himalaia.
Una volta determinata la zona di scavo, vediamo come si procede nelle operazioni. E’ da sottolineare che nello studio dei fossili è importante un approccio evoluzionistico, senza il quale tutto sarebbe inutile, quindi bisogna sempre cercare di capire quali cambiamenti hanno subito gli ecosistemi del passato…
Per fare ciò è importante avere dei riferimenti temporali nella zona di scavo, quindi bisogna conoscere l’età delle rocce o dei sedimenti in cui si scava e soprattutto bisogna dare importanza agli strati di roccia o sedimento in cui si scava. Già, perchè, salvo rare eccezioni, gli strati che stanno più in basso sono più antichi di quelli che stanno più in alto, semplicemente perchè stanno sotto, quindi sono stati depositati lì prima! Gli strati vanno dunque numerati…
Ogni volta che verrà recuperato un fossile quindi verrà catalogato in base allo strato in cui è stato trovato, così sapremo quali sono i più antichie quali i più recenti.
In particolari situazioni, può essere importante anche praticare una divisione orizzontale a griglia (come quella della battaglia navale), laddove la distribuzione orizzontale dei fossili possa avere importanza…
Comincia così lo scavo nel quale si cerca di rompere e sfogliare le rocce come fossero antiche pagine di un libro, oppure si scava grattando via strato per strato quando ci si trova in sedimenti non o poco litificati. E’ importante ovviamente prestare la massima attenzione nel non danneggiare i fossili, cosa che ci potrebbe far perdere una certa mole di informazioni.
Ma come si vedono i fossili? Anche qui i casi sono molteplici, ma diciamo che stiamo cercando resti di esseri viventi, piante o animali che siano. Con l’abitudine ci si fa l’occhio come si suol dire, a volte il fossile si vede molto bene, nel sedimento o sulla superficie di uno strato. Il difficile è quando lo si trova all’interno dello strato stesso per cui è importante osservare gli strati estratti anche lateralmente e non solo sulle superfici alta e bassa…
Una volta raccolti e catalogati i fossili, arriva il momento del trasporto nei laboratori di preparazione. Anche questa fase non è banale se si considera anche il fatto che a volte gli scavi sono in zone difficilmente accessibili come grotte, cenge rocciose o pendii scoscesi… Ci si trova spesso con decine di chili nello zaino a camminare in zone davvero improbabili!!!

Nei laboratori, i tecnici esperti o molto spesso i paleontologi stessi devono ripulire letteralmente i fossili considerati più interesssanti. Questa fase è detta ‘preparazione’.

Questi ad esempio http://paleoitalia.org/places/2/grignone/ li abbiamo preparati io e una mia collega! …qualcosa già lo avete già visto nel video di apertura…

 

Se il sedimento è normale terriccio o argilla è sufficiente un lavaggio fatto con delicatezza, magari con un morbido spazzolino per rimuovere la terra anche negli angoli del fossile.
Se invece il fossile è ricoperto di roccia, il lavoro può diventare enormemente lungo anche per fossili molto piccoli.
Lo strato di roccia viene rimosso dal fossile con estrema attenzione, a volte a mano, a volte con l’ausilio di strumenti pneumatici come vibro-incisori e sabbiatrici. La finitura viene solitamente realizzata manualmente.
Molto spesso il lavoro si svolge al microscopio binoculare, soprattutto laddove si deve prestare attenzione a non rovinare particolari molto piccoli del fossile. Immaginate i sottili raggi della pinna di un pesce ad esempio…
La preparazione può concludersi fissando il fossile con resine o collanti che ne garantiscano una certa durabilità.
Questa è la lunga storia di un fossile, ma solo assistendo ad uno scavo si possono vedere la moltitudine di casistiche che ci si trova ad affrontare in sito e solo preparando molti fossili ci si può rendere conto di quanto complessa o semplice possa essere la fase di preparazione.

Come penso ormai da tempo, ogni fossile è diverso da un altro, come se vivesse per la seconda volta. Alcuni hanno un ‘carattere’ abbordabile, altri si rivelano ostici e difficili… Sta a noi saperci approcciare nel modo giusto o il fossile, qualunque esso sia, si prenderà gioco di noi!!!

LEGGI ANCHE:

Lo scavo Paleontologico

Le attrezzature per cercare i fossili (Video)

Clicca qui per visitare il sito di Paleontologia dei Vertebrati dell’università Statale di Milano

Come si mette a fuoco un microscopio binoculare?

Mettere a fuoco il microscopio binoculare.
L’unico modo per poter lavorare a lungo e con estrema precisione con questo strumento

Stefano Rossignoli 19 agosto 2009

Microscopio binoculare

Per lavorare decine di ore alla settimana al microscopio, o semplicemente per lavorare bene, è importantissimo mettere a fuoco lo strumento nel migliore dei modi.
Mi capita spesso di vedere microscopi usati male e questo provoca affaticamento della vista e mal di testa, oltre che una mancanza di precisione nel lavoro effettuato, magari solo per la pigrizia di effettuare questa semplice operazione.

Per mettere a fuoco correttamente un binoculare, bisogna innanzi a tutto conoscerlo.
Normalmente è dotato di una ghiera per cambiare gli ingrandimenti, di una vite per la messa a fuoco generale e anche sugli oculari ci possono essere una o addirittura due ghiere per la messa a fuoco indipendente degli oculari stessi.
1 – Indipendentemente dal numero di ghiere sugli oculari, queste vanno poste sullo zero.
2 – Si pone un oggetto sotto il microscopio ad ingrandimento medio (16-25), si osserva l’oggetto chiudendo un occhio (quello dell’oculare senza ghiera oppure se ogni oculare ha la ghiera, se ne chiude uno qualsiasi) e si mette a fuoco con la vite per la messa a fuoco generale.
3 – Si apre l’occhio, si attende un attimo perchè si riabitui alla luce, si chiude l’altro e si osserva mettendo a fuoco solo con la ghiera dell’oculare.
4 – Il gioco è fatto. Ora siete pronti per lavorare con tutti e due gli oculari a fuoco perfetto. Solo un attimo ancora perchè gli occhi si riabituino entrambi alla luce e potrete cominciare la vostra attività regolando il microscopio solo con la vite per la messa a fuoco generale.
Un piccolo consiglio: se lavorate al microscopio per la prima volta (oppure quando cambiate strumento), ripetete le operazioni di messa a fuoco ogni mezz’ora per le prime ore di lavoro, in modo da essere certi di una perfetta regolazione.

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